E’ stato illustrato sopra cosa intendiamo noi per etica e giustizia e il senso e lo scopo finale che il credito dovrebbe avere per realizzare il più possibile questa giustizia stessa. Ma se mettiamo a confronto questo significato ultimo del credito con la struttura del sistema creditizio odierno, non si può fare a meno di notare l’esistenza di due principi totalmente arbitrari, perché estranei a questo scopo.
Essi possono considerarsi sintomo di ciò che Max Weber descrive come razionalizzazione tipica dell’età moderna. Questa razionalizzazione porterebbe ad un’assenza di riflessione sulla portata esistenziale dei mezzi tecnici usati per realizzare uno scopo, i quali vengono confusi con un’autoreferenziale fonte di progresso e valore in sé di un contesto sociale. Una coscienza “razionale” deve realizzare una rigorosa analisi di quale significato originale e scopo finale abbiano certi strumenti – come quello di credito – per le necessità che la volontà umana esprime. In caso contrario, vi è non solo l’accettazione passiva di alcune caratteristiche attuali di tale strumento, le quali sono spesso frutto di contingenze storiche che le rendono non più necessarie per il suo fine “reale”. Vi è anche l’idealizzazione di queste caratteristiche, che appaiono ingannevolmente come espressioni di una certa naturalità e necessità umana.
La razionalizzazione tipica dell’età moderna, quella in cui «non occorre più ricorrere a mezzi magici per dominare gli spiriti o ingraziarseli [perché] a ciò sopperiscono i mezzi tecnici e il calcolo razionale», diviene “irrazionale” nel momento in cui si trascura il fine ultimo “umano” di tali tecniche. Esse vengono applicate in modo auto-referenziale per moltiplicare i loro effetti, senza chiedersi se vi siano applicazioni esistenzialmente preferibili rispetto a quelle attuali.
In ultima analisi, il senso del ricorso al meccanismo del credito, il “vantaggio” che una sua buona riuscita dà a tutte le volontà coinvolte nel processo (fornitore materiale del credito, beneficiario, venditori di beni a quest’ultimo e suoi futuri clienti), si è detto, è che esso pone le condizioni materiali e relazionali per la massimizzazione della loro utilità reciproca, favorendo la creazione di nuova ricchezza. L’intero processo appare come un investimento portato avanti dall’intera comunità al fine di massimizzare le reciproche potenzialità strumentali dei suoi membri.
Notiamo, allora, che si verifica nella nostra epoca l’elezione a scopi o valori finali di caratteristiche contingenti che la dinamica materiale dell’erogazione del credito ha potuto storicamente assumere, per motivi riguardo ai quali non entriamo qui nel merito. Questo stato di cose fa virare tale dinamica nella direzione di una logica differente rispetto a quella sopra riconosciuta come coincidente con lo scopo sociale del concetto di credito per la volontà umana.
Non parleremo in questa sede del fenomeno dell’acquisizione e scambio di strumenti finanziari (che siano obbligazioni, azione, derivati, ecc..) che vengono acquistati o scambiati al solo scopo di scommettere sul valore o modificare il valore ed il rendimento degli stessi – causando un’allocazione del credito fortemente inadeguata. Ci concentreremo, più alla radice, sulle modalità di creazione del credito le quali mostrano già nella loro struttura la trasfigurazione di mezzi accidentali in fini in sé.
La struttura stessa del settore creditizio è ciò con cui dobbiamo confrontarci: anche se le banche commerciali possono concedere prestiti semplicemente accreditando elettronicamente, senza limiti pratici, una determinata quantità di denaro nel conto corrente dei loro clienti, esse necessitano del denaro della Banca Centrale per saldare ogni trasferimento che il cliente richiede di portare a termine. Questo denaro ha un costo e ciò fa sorgere diversi problemi. Può verificarsi, per esempio, una certa congiuntura per la quale una banca trasferisca ad altre banche una quantità di denaro della Banca Centrale più grande rispetto a quella che ottiene dal resto del circuito o emettendo azioni. Questa banca è perciò costretta a prenderne ulteriormente in prestito se vuole concedere più prestiti, alterando così la propria convenienza nel prestare denaro oppure gli interessi che essa applica, riducendo l’incentivo dei clienti a prendere in prestito oppure la loro affidabilità nel ripagare.
O ancora, a causa di crediti deteriorati o perdite derivanti da “scommesse” finanziarie, una banca commerciale può perdere denaro della Banca Centrale, causando gli stessi problemi appena descritti, anche perché essa ha bisogno di trattenere liquidità per compensare le perdite e portare subito a termine i dovuti pagamenti. E’ a causa di questi rischi individuali che le banche commerciali possono diventare strutturalmente avverse al rischio tendendo così, a causa della necessità di salvaguardare i loro affari privati, a non finanziare piccole imprese ed innovazioni che sono relativamente difficili da valutare, nonostante esse possano dare un grande contributo al progresso sociale e tecnologico della società.
La conseguenza di questa struttura è che gli scopi o valori finali del concetto di credito non coincidono con la massimizzazione della reciprocità economica ma, in primo luogo, con la valutazione di una convenienza o un rischio spiccatamente individuale. Ciò rappresenta uno scenario sensibilmente differente rispetto ad una valutazione dei rischi e dei benefici considerati in senso collettivo, che sarebbe coerente con la finalità del credito come investimento sociale. Un creditore privato che valuta il suo rischio personale, infatti, può essere indifferente al possibile progresso tecnico che un investimento in una start-up può apportare alla società intera, mentre sarà decisamente preoccupato per la possibile perdita di, diciamo, sessantamila Euro concessi al debitore. Non così sarà il calcolo di un ente creditizio collettivo.
In secondo luogo, a causa della struttura descritta, l’erogazione di credito può essere letta come dipendente dalla disponibilità o scarsità, all’interno di una certa rete economica circoscritta, di una specifica “materia prima” del credito che ha un certo costo: la liquidità della banca centrale (non approfondiremo qui il fatto che una certa “scarsità contestuale” di tale materia prima può anche conseguire da perdite della banca dovute non ad investimenti socialmente utili ma ad operazioni che si riflettono negli scopi del circolo autoreferenziale della trasformazione di valore degli strumenti finanziari, come sopra accennato).
In effetti, la disponibilità di liquidità nel sistema sopra descritto è in funzione soprattutto della disponibilità di liquidità di depositanti, azionisti ed investitori finanziari di una determinata banca commerciale, oltre che della capacità di ripagare da parte dei suoi debitori. L’incentivo dei primi ad investire la loro liquidità dipende dalle aspettative circa l’abilità dei banchieri nel realizzare buoni investimenti, la capacità di ripagare il debito da parte dei debitori precedenti della banca e, più in generale, dalla valutazione delle condizioni reddituali della comunità in cui tali debitori e nuovi potenziali debitori vivono. E’ chiaro che, in questo stato di cose, una istituzione di credito e la sua capacità di fornire prestiti non possono essere più considerate in funzione della creazione di reciproco potere e benefici economici tra gli individui, ma in funzione delle momentanee aspettative circa l’attuale e potenziale livello di “reciprocità” e arricchimento reciproco della rete economica della banca, che è ciò che è riflesso nell’attuale quantità di “denaro della Banca Centrale” circolante nella rete stessa. Vi è, dunque, un secondo aspetto nell’assolutizzazione di caratteristiche contingenti dello strumento del credito del sistema in cui viviamo: l’idealizzazione della necessità di una certa “materia prima” del credito, che deve essere già sufficientemente presente dentro uno specifico circuito economico.
Valutazione del rischio fatta dal punto di vista un agente economico individuale e dipendenza dalla disponibilità contestuale di una specifica “materia prima” del credito sono logiche molto differenti da quella che l’erogazione di credito dovrebbe rispettare. Esse rappresentano valori pratici universalmente riconosciuti che, come direbbe Weber, sono incoerenti con gli assiomi e i valori ultimi del credito a causa delle loro conseguenze pratiche.