LA BOLIVIA RESISTE

LA BOLIVIA RESISTE

I governi del Movimento per il Socialismo – Strumento Politico per la Sovranità dei Popoli, compagine di Evo Morales, hanno ridotto in 13 anni l’indice di Gini del 19% (indice che misura la disuguaglianza di ricchezza di una comunità), hanno operato la REDISTRIBUZIONE delle terre, hanno fatto crescere la Bolivia ad un tasso medio che è stato il doppio di quello delle altre nazioni Sudamericane, hanno TRIPLICATO i salari minimi trasformando la Bolivia da Paese a basso reddito a Paese a reddito medio-basso. Per non parlare delle leggi anti-razzismo, importanti anche sul piano economico.

Undici mesi di governo golpista paramilitare supportato dall’imperialismo americano hanno tolto, poi, al popolo Boliviano ogni dubbio: Luis Arce, succedendo a Morales, conquista il 52% dei voti.

All’uscita della notizia, le azioni di Tesla (la società di Elon Musk) crollano di 9,21 punti.

Che cosa è successo? Come sono collegati i due fenomeni?

Elon Musk per moltissimi anni ha tentato di mettere le mani sul litio della Bolivia, la preziosa risorsa naturale, fondamentale per le sue batterie. Il governo di Evo Morales tuttavia ha sempre sostenuto la difesa delle risorse naturali, che appartengono al popolo boliviano: se Elon Musk voleva comprare il litio, doveva pagarlo al suo prezzo.

Subito dopo il colpo di stato dell’estrema destra, la nuova presidente (Jeanina Anez Chavez) strinse un accordo con la Tesla, per la svendita del litio boliviano a basso prezzo. Elon Musk ottenne così un accordo vantaggiosissimo, che ha portato molti a credere che ci fosse anche la sua mano dietro il golpe.

Con la vittoria del MAS, gli azionisti di Tesla temono (probabilmente a ragione) che il nuovo governo riprenderà la politica di Evo Morales sul litio, mandando così in frantumi gli accordi vantaggiosi presi con il precedente governo.

La Pachamama (la Madre Terra venerata dagli indigeni boliviani) ha vinto contro il capitalismo predatorio dello sciacallo Elon Musk (grazie a M. De palma per la notizia).

La speranza è solo che stavolta il Movimento per il Socialismo faccia un bel rimpasto di tutte le forze armate con milizie POPOLARI ed un esproprio proletario completo dei settori economici ostili alle classi basse. I Boliviani hanno riconosciuto i grandi progressi delle nazionalizzazioni e delle politiche sociali di Morales, ma il riformismo sarà sempre in pericolo di essere spodestato da un golpe in salsa americana.

Ascoltando i vari Tg e opinionisti in lingua inglese, per lo più americani, il ritornello che si ripete è, ovviamente, che il Paese sudamericano “dovrà affrontare altri 5 anni di corruzione e difficoltà economiche” dovute al fatto di “aver fatto fuggire i capitali”, e cose simili. Ma anche il titolo di Repubblica non scherza (“l’ombra di Morales sul futuro della Bolivia”).

Tutto ciò è estremamente divertente e ricordiamo che, nonostante tutti i tentativi di boicottaggio messi in atto dagli Usa, dall’ascesa al potere di Evo Morales, primo presidente indigeno nella storia boliviana, risalente al lontano 2005, il Paese, il più povero del subcontinente americano, ha evidenziato tassi di crescita medi annui del 4,9% e le condizioni di vita sono migliorate sensibilmente: il reddito pro-capite è passato dai 4.387 dollari del 2006 ai 7.859 del 2018 e la percentuale di popolazione in povertà relativa si è ridotta dal 59,9% del 2006 al 36,4% nel 2017.

Il problema, caso mai, è quello che si portano dietro tutte le nazioni che per secoli hanno vissuto solo di export di risorse naturali. L’economia andina rimane fortemente dipendente dall’export di materie prime poiché idrocarburi (gas naturale e petrolio) e prodotti minerari (oro, zinco, argento, litio e manganese) constano per l’80% del totale. L’inversione nei prezzi delle commodity a partire dal 2014 è stata, tuttavia, efficacemente contrastata dal governo con manovre anticicliche di spesa in parte per importanti progetti infrastrutturali ma in parte volte all’aumento della spesa corrente.

PIUTTOSTO, uno dei problemi di politica economica da affrontare è lo stesso che attanaglia i paesi del Sud Europa: il feticcio della valuta “forte” e il suo peso nel deficit della bilancia commerciale. Il tasso di cambio sostanzialmente fisso, in essere dal 2011, tra la valuta locale e il dollaro ha determinato la progressiva sopravvalutazione del boliviano con perdita di competitività dei prodotti nazionali e depauperamento delle riserve in valuta forte. Il costo delle politiche economiche espansive a forte trazione pubblica è stata la formazione di significativi deficit “gemelli” (fiscale e verso l’estero), con un debito pubblico3 che ha superato il 50% del Pil già dal 2017 ed è destinato a crescere ancora.

Un futuro florido per la Bolivia sarà assicurato se il paese riuscirà a sfruttare le risorse naturali (come il litio) che detiene in abbondanza per investire in competenze umane, e ciò presuppone la totale indipendenza dai capitali predatori stranieri che vorrebbero, mantenendo un cambio rigido e dettando la circolazione delle merci e dei capitali da e per la Bolivia, indebitare una nazione che diverrebbe in affanno commercialmente per l’eccessiva competizione estera; in tal modo questi capitali vorrebbero dettare la linea politica – che mai, in questi casi, include lo sviluppo umano ma, piuttosto, la diminuzione di diritti e investimenti pubblici al fine di favorire il profitto privato sicuro e l’arrivo di altri capitali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *