USA 2020, L’INEVITABILE DESTINO DI UN PAESE CHE PER FUNZIONARE DEVE TENERE IN POVERTA’ 1/3 DELLA POPOLAZIONE

USA 2020, L’INEVITABILE DESTINO DI UN PAESE CHE PER FUNZIONARE DEVE TENERE IN POVERTA’ 1/3 DELLA POPOLAZIONE

Le proteste sfociate nella rimozione delle statue di noti personaggi storici razzisti è una protesta non tanto di etnia ma di classe: negli USA, gli afroamericani sono il 13% della popolazione, ma possiedono l’1,5% della ricchezza. Un nucleo familiare bianco guadagna in media dieci volte di più di una famiglia nera.

Nei grandi “mercati unici” occidentali, quello Usa e quello Ue, c’è da sempre una (relativa) minoranza etnica che viene associata a maggiore criminalità, maggiore povertà o maggiore pigrizia. In America sono i neri, in Europa i cittadini dei paesi meridionali.

Il razzismo è inscindibile dal capitalismo nella misura in cui questo, attraverso l’accumulazione, tende a creare una struttura di centro-periferia dove le comunità partite svantaggiate accentuano il loro distacco dal vertice della piramide. Associare i loro tratti agli elementi di cui sopra diviene quindi una mera constatazione, sublimata a seconda dei soggetti in suprematismo o paternalismo.

Il meccanismo di accentramento e accumulazione esiste ovviamente anche dentro le stesse comunità specifiche. In Italia un terzo di chi nasce povero resta povero e i figli delle persone collocate nel 10% più povero della popolazione italiana, sotto il profilo retributivo, ad oggi avrebbero bisogno di 5 generazioni per arrivare a percepire il reddito medio nazionale. Negli Stati Uniti, sotto Barack Obama, i neri ricchi si sono arricchiti molto più dei neri meno ricchi.

C’è un motivo preciso per cui gli Stati Uniti non investono mai in occupazione e welfare interno, insomma in sviluppo equo e produttivo, e preferiscono restare in eterno deficit commerciale con l’estero e far crescere all’infinito il debito privato delle famiglie più povere.

Questo motivo è connesso con il sistema monetario internazionale basato sul DOLLARO.

Prima che si svendesse politicamente arrivando a invocare scudi penali per Arcelor Mittal e interventi della BCE per alimentare le spese pubbliche all’interno di un sistema asimmetrico qual è l’euro, l’economista Alberto Bagnai (A. Bagnai, Crisi finanziaria e governo dell’economia, Costituzionalismo.it FASCICOLO 3 | 2011) aveva spiegato bene perché un sistema basato sulla rigidità valutaria e sul perenne afflusso di capitali esteri (quello che ora egli invoca senza vergogna per tenersi stretta la poltrona da senatore leghista) sia sempre fonte di squilibri.

È un dato acquisito – scriveva lo studioso – «che il fattore scatenante della crisi europea [del 2008] sia stata la crisi statunitense originata dai mutui subprime. Cerchiamo di ripercorrerne la catena causale all’indietro: l’ultimo anello è il fallimento di molte famiglie americane che si sono trovate nell’impossibilità di rimborsare i mutui contratti. Ma perché le banche hanno prestato con tanta larghezza a debitori potenzialmente insolventi? Semplice: perché avevano tanta liquidità e, come accade, preferivano impiegarla in modo rischioso piuttosto che tenerla inoperosa. Ma perché le banche avevano così tanta liquidità? Semplice: perché tutto il mondo desidera prestare soldi agli Stati Uniti (solo nel 2007 l’indebitamento netto con l’estero degli Stati Uniti era aumentato di 700 miliardi di dollari). Ma perché tutti desiderano prestare agli Stati Uniti? […]

Se il sistema monetario internazionale viene a basarsi su una valuta nazionale, il paese che la emette deve scegliere se regolarne l’emissione in funzione delle esigenze proprie o altrui. Gli Stati Uniti si sono trovati, dal 1945 in poi, a fronteggiare il seguente dilemma: decidendo di dimensionare l’offerta di dollari alle esigenze nazionali, ne avrebbero difeso il valore e garantito la convertibilità, ma avrebbero lasciato il resto del mondo senza mezzi di pagamento per soddisfare gli scambi internazionali, condannandolo alla deflazione (e compromettendo anche le proprie esportazioni); decidendo invece di stampare dollari a sufficienza per le esigenze del commercio internazionale, avrebbero evitato la deflazione mondiale, ma compromesso la convertibilità (come poi accadde, facendo crollare il sistema di Bretton Woods) o promosso un perenne deficit commerciale del proprio Paese».

Insomma, tu Usa paghi dollari all’estero per acquistare merci, anche perchè il dollaro non si svaluta moltissimo visto che tutti lo vogliono, i maggiori produttori si ritrovano con ammassi enormi di dollari da investire, dove? Negli Usa, ovviamente, visto che è l’unico Paese che sicuramente potrà stampare dollari per ripagarti e che continuerà sempre a spendere e spandere. E il ciclo continua.

Se gli Usa re-industrializzassero la propria economia alle massime potenzialità e non vivessero in funzione delle loro importazioni selvagge, darebbero un lavoro produttivo e un reddito a quella fetta povera e indebitata di popolazione, che si indebita privatamente proprio per vivere “al di sopra delle sue attuali possibilità”. Così facendo, però, gli Usa priverebbero il mondo di moneta internazionale per gli scambi, e segherebbero il ramo dove si vorrebbero sedere.

L’unica soluzione a tutto questo è la creazione di un sistema di scambi internazionale basato su una valuta creata ad hoc, senza nazione, che ogni Paese riceve o versa ad una banca internazionale (controllata democraticamente) a seconda del valore periodicamente stabilito di beni e servizi esportati o importati. Un sistema complesso e politicamente delicato, che necessita di un vero sistema collegiale internazionale, non fondato sullo strapotere di una nazione. Ma la cui costruzione è inevitabile.

Ulteriore attenzione merita, infine, il parallelo dramma americano nella gestione dell’epidemia di Covid-19, che riflette (come fa, in parte, la struttura geopolitica sopra descritta) le contraddizioni di un sistema che tutto affida alla capacità di auto-regolazione del mercato.

Il tristemente prevedibile disastro USA nella gestione del Covid-19, con i contagi reali vicini a 24 milioni secondo il Centers for Disese Control and Prevention, è solo l’ultimo esempio di cosa rappresenta una società in cui l’astratta “libertà” del singolo è anteposta a qualsiasi altro valore, fino a diventare il suo OPPOSTO.

Sanità fondata sulla libertà di profitto dei più forti. Demenziali e folli manifestazioni “in difesa della libertà” alle prime misure di lockdown. Ripartenza precoce dell’economia in nome della “libertà” d’impresa. Rallentamento (gli scorsi anni) della ricerca sul vaccino per i coronavirus in nome della libertà d’investimento delle industrie farmaceutiche.Partiamo dalla sanità, difesa dai liberalisti-europeisti italiani, come +Europa, in quanto sinonimo di “efficienza” in contrasto con il “pubblico inefficiente”. Eppure negli USA la spesa sanitaria è di gran lunga la più elevata al mondo, senza che ciò corrisponda ad una reale copertura universale.

E c’è un motivo per cui i fondi e le assicurazioni private non sono efficienti. I fondi sanitari devono gestire innumerevoli transazioni con organizzazioni e professionisti sanitari, aumentando l’impatto dei COSTI AMMINISTRATIVI e riducendo il value for money (si veda rapporto GIMBE, La Sanità Integrativa, 2019).Infatti, ciascun fondo deve negoziare, stipulare e rinnovare contratti, documentare le prestazioni coperte, tener conto di regolamenti e disposizioni, sottoporsi a specifici controlli, etc. I costi amministrativi generati dagli innumerevoli erogatori di prestazioni e assicurazioni superano il 25% della spesa totale e chi sostiene una riforma single payer stima un risparmio di oltre 500 miliardi di dollari. Anche un recente confronto tra 11 sistemi sanitari dimostra che nei paesi dove vigono sistemi assicurativi (USA, Svizzera), rispetto a quelli che dispongono di sistemi sanitari pubblici, i costi amministrativi sono molto più elevati e i medici devono dedicare molto più tempo ad attività amministrative.

Insomma, la vita umana messa in funzione della burocrazia di diversi tipi di capitalisti, che ne hanno bisogno per massimizzare al dettaglio i loro profitti con i diversi tipi di clienti. Ma questa è solo la punta dell’iceberg di un’America che si porta ancora dietro l’attitudine puritana dei suoi fondatori, per i quali l’ascetismo e sacrifici si accompagnavano alla condanna dell’ozio “improduttivo” e alla fede in un’armonia universale impossibile da sfidare (che sarebbe, oggi, il mercato).

Come notava Marx, in una comunità atomistica dove la relazione fra individui si compone nel momento dello scambio economico (essendo tutto il resto collettivismo e vizio ridondante) l’essere umano e il lavoratore sono visti solo in funzione del capitale che producono e per il quale lavorano. Ogni altro aspetto della loro vita è accettabile solo se messo in funzione di questo.Con tutto ciò che ne consegue nell’ignoranza delle esternalità negative di un tessuto sociale che polarizza la ricchezza, collassa al minimo attacco di sfiducia reciproca fra “atomi”, e non permette a tutti i nuovi nati di massimizzare le loro capacità.

L’alienazione economicistica degli USA è tutta qui: un Paese che si suicida nel nome del fatalismo intoccabile dello scambio commerciale individualistico che tutto risolve e niente può intaccare.Edulcorato, per quel che può servire, con l’illusione della democrazia formale.

Una democrazia che, notava già Tocqueville nel suo viaggio nei neonati Usa all’inizio dell’800, diventa paradossalmente il trionfo del conformismo e dell’individualismo: non si PARTECIPA dialetticamente al dibattito politico (i media sono piegati a poche visioni, a seconda del potere economico che li gestisce, e non esistono organizzazioni di classe o sindacali) e i singoli ATOMI possono al massimo scegliere da quale corrente farsi trasportare – in genere da quale delle due o tre correnti.

Situazione che, per quanto fosse leggermente in miglioramento all’inizio del secolo scorso, fu totalmente esacerbata fin dal periodo del maccartismo dagli anni ’50 in poi.

Uno dei maggiori motivi per cui negli Stati Uniti non cambierà mai nulla politicamente.

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