La continuazione della crisi libica (e, soprattutto, il prossimo intervento della Turchia), più che auspici per il futuro (che sarebbero soprattutto a favore delle solite compagnie che ne fruttano i giacimenti) mi suscita RICORSI STORICI.
Riflessioni su – esattamente come oggi la crisi dei migranti, che nella caduta del regime di Gheddafi, ha le sue maggiori radici ha reso lavoratori e precari Italiani elettori della lega, in un demenziale scontro dei penultimi con gli ultimi – la “sinistra” italiana abbia sempre originato il suo fallimento storico dall’inseguire i temi della destra.
Parliamo sempre dell’adozione dell’ideologia liberoscambista degli ultimi 30 anni, che a partire da Berlinguer ha messo le rivendicazioni degli ultimi in funzione della “pacificazione” con chi possiede i grandi capitali e ha bisogno di un mercato unico, con poca inflazione e poche oscillazioni valutarie (=Euro) per farli fruttare al massimo negli investimenti internazionali (mentre, in un paese trasformatore e socialista, per chi deve campare non di rendita da capitale ma producendo, la politica del cambio è al massimo una misura di quanto si sceglie di proteggere le produzioni domestiche svalutando).
Il PD e il “centrosinistra” non si emanciperanno mai più da questa religione.
Ma non si parla mai della crisi nazionalistica di inizio secolo, un periodo fanatico e scellerato che ha spianato la strada al successivo fascismo e che, a mio parere, segna l’inizio dell’inconscia tendenza degli “ultimi” Italiani a sfogare le proprie frustrazioni non sui loro padroni ma sul terzo suo simile e per la “grandezza della patria”.
Il 1911 era il momento in cui tutto il mondo era travolto dalla ventata imperialista, che trovava i suoi bardi nei grandi esaltatori della razza bianca: Gobineau in Francia, Chamberlain e Kipling in Inghilterra, i pangermanisti a Berlino col Kaiser in testa, Theodore Roosevelt in America.
Il nazionalismo italiano non era che un riflesso di questo vasto rivolgimento e, quando nel 1910 i nazionalisti riuscirono a fondare un loro partito esso non fece molte reclute, rimanendo una sorta di élite intellettuale.
Ma influenzò in maniera decisiva tutte le altre forze politiche, specialmente quelle di sinistra. L’attrazione più forte la esercitò sul ramo sindacalista dei socialisti. E, come scrive Idro Montanelli, «ciò non deve meravigliare perchè in comune con essi aveva il culto della violenza predicata da Sorel e l’odio per le ideologie gradualiste, riformiste e pacifiste che avevano predominato sulla fine del secolo. Quando Corradini applicò il vocabolario socialista alla Nazione parlando di una “Italia proletaria” in lotta contro le plutocrazie occidentali, e lanciò l’idea di un “imperialismo operaio” da contrapporre a quello capitalistico, riscosse in campo sindacale vasti consensi e pose le premesse di un pasticcio ideologico in cui Mussolini avrebbe di lì a poco sguazzato».
Ancora Montanelli ricorda come gli effetti furono “sfolgoranti”. L’idea di trasformare l’orda degli emigrati italiani in un esercito di soldati colonizzatori mise in crisi tutti i partiti di sinistra, compresi i socialisti. Perfino il mite Pascoli, che da studente era andato in prigione per difendere gli anarchici, se ne entusiasmò: «E’ ora di riprendere l’opera eroica di riconquistare l’Italia all’Italia», scrisse. La psicosi guerriera aveva contagiato anche lui.
Nell’età giolittiana, nella quale il capo del governo, storicamente poco attento alla politica estera, era interessato all’avventura coloniale SOLO nella misura in cui essa poteva soddisfare il sentimento revanscista che appunto si stava diffondendo, si videro favorevoli all’azione Chiesa e Barzilai, che ruppero il fronte pacifista repubblicano uscendo dal partito; alcuni radicali; i socialisti Bonomi e Bisolati e perfino il campione del massimalismo, Ferri. Per l’azione, come accennato, furono gran parte dei sindacalisti, capeggiati da Labriola e Olivetti.
Il primo risultato di questo fanatismo fu la conquista raffazzonata e poco gloriosa della Tripolitania e della Cirenaica, le stesse terre il cui equilibrio oggi è a fondamento, per motivi più o meno diversi, sia del prestigio estero del governo “di sinistra” che del presunto “sovranismo” identitario di lega e accoliti.
La colonia libica diede all’Italia di un secolo fa un’impresa economicamente a perdere, utile solo a soddisfare le predette passioni, che sarebbe bastato non suscitare. Diede, poi, le basi culturali del fascismo, i cui richiami alla forza identitaria sono ancora oggi alla base di chiunque si riconosca nell’elettorato di destra, mentre i richiami all’abbattimento del capitale parassitario e liberista NON sono più, purtroppo, alla base di chi si riconosca nella “sinistra”, come la nuova mega lista civica del Pd, le sardine, dimostra ampiamente.