COSA SI PUO’ FARE A LIVELLO LOCALE PER MIGLIORARE UN SISTEMA SANITARIO CHE SOFFRE DEI TAGLI IMPOSTI DALL’ AUSTERITA’ EUROPEA? MOLTO! UN ESEMPIO DI PROGRAMMA PER LE ELEZIONI REGIONALI SULL’ESEMPIO DELLA CALABRIA – IL PEGGIOR SISTEMA D’ITALIA – SCRITTO PER UN PARTITO IMMAGINARIO
Le carenze attuali del sistema sanitario Calabrese sono notoriamente legate, in linea con le problematiche nazionali, ad un’assenza di finanziamento Statale adeguato a garantire gli stessi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) in vigore dal 18 marzo 2017, quando sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale (Supplemento ordinario n.15). A questo si aggiunge l’annoso problema dei conflitti di interesse tra le figure dirigenziali, l’area privatistica del settore e la classe politica della regione. Il programma del Partito si propone di affrontare tutti questi problemi con un ripensamento strutturale della natura, delle funzioni e delle responsabilità del sistema sanitario Calabrese e degli strumenti istituzionali e finanziari utili a farlo funzionare. Lo scopo, ambizioso, è di non lavorare sulla sanità come fosse un ambito circoscritto ma creare un circolo virtuoso che metta in comunicazione l’aumento dell’investimento nel personale sanitario addirittura con uno stimolo finanziario all’economia reale della regione, allo scopo di rendere sostenibile una vera universalità delle cure ed una gratuità reale del servizio alle fasce più deboli.
La radicalità di alcune proposte sono da leggersi
nella cornice per cui, mentre per il Partito la condizione ideale coinciderebbe
con uno Stato centrale che gestisca e finanzi, fuori dalla logica
aziendalistica, delle agenzie sanitarie locali con il principio
dell’uguaglianza fra i cittadini e sotto una pianificazione organica, l’intento
di cominciare a cambiare il paradigma all’interno di una sola regione impone
l’assunzione temporanea di responsabilità che, nel modello ideale, non
dovrebbero tuttavia essere delegate alle istituzioni locali.
1 – Lotta politica a livello regionale per rivendicare il diritto all’incremento dei trasferimenti per il Sistema Sanitario Calabrese
Attualmente il sotto finanziamento degli ospedali calabresi può essere ricondotto a 2 fattori, i quali esprimono una contraddizione con ciò che affermano le stesse leggi dello Stato e la Costituzione:
1 – Entrata in vigore del federalismo fiscale
2 – Parametri sfavorevoli alla distribuzione dei soldi ai sistemi sanitari più poveri
1.1 – Lotta ai danni del federalismo fiscale
Il federalismo non è stato altro che un trasformare le regioni più meridionali da “più deboli” a “più colpevoli”. Vediamo come. Fino al 1997, le risorse destinate alla sanità si ritrovarono a crescere senza problemi e le regioni erano prive di vincoli di natura finanziaria. Il finanziamento della sanità era retto dai principi della finanza derivata e da trasferimento, con una forte centralizzazione a livello statale delle scelte di spesa, al fine di garantire uniformità ed effettività alla tutela del diritto alla salute. Il deficit di tutte le regioni gravava sullo stato ed era coperto con mutui bancari, Btp o Cct. La strada verso l’accanimento sui “messi peggio” cominciò con un maggior peso piazzato sulle famiglie. Come scrive V. Mapelli, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore, la riforma di Vincenzo Visco del 1997 trasformò nell’Irap i contributi dei datori di lavoro al sistema sanitario (aliquota 4,25 per cento) e nell’addizionale regionale Irpef (0,9 per cento) quelli dei lavoratori, favorendo le imprese a discapito delle famiglie. Furono le prime due imposte “regionali”.
Una seconda riforma fiscale, nel 2000, ridimensionò i trasferimenti classici a favore della fiscalità regionale e destinò parte dell’IVA, oltre tributi minori quali le accise sui carburanti, ad alimentare un fondo perequativo nazionale, per coprire la differenza tra il fabbisogno regionale di spesa e il gettito delle nuove imposte. Il Servizio sanitario nazionale risulta oggi finanziato da fonti diverse, anche se IVA e Irap rappresentano il 70 per cento del totale:
Ticket sanitari
IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive);
Addizionale regionale all’IRPEF;
ARISGAM – Addizionale regionale all’accisa sul gas naturale;
Compartecipazione regionale all’accisa sulle benzine per autotrazione;
Compartecipazione regionale all’IVA versata dai consumatori finali nel proprio territorio
e altre imposte minori.
La compartecipazione regionale al gettito dell’IVA, istituita dal D.Lgs. 56/2000, entra come detto nel meccanismo di perequazione. Si noti che lo sforzo fiscale autonomo e i “trasferimenti perequativi” dello Stato non sono per tutti uguali. C’è chi ha più possibilità di usufruire di risorse proprie e chi deve sperare ogni anno nella bontà del CIPE e della Conferenza Stato-Regioni. Ad esempio, nel 2017 in Lombardia il contributo fiscale autonomo era del 40 per cento, in Lazio del 37 per cento, in Emilia-Romagna del 35 per cento, mentre in Calabria e Basilicata solo dell’8 per cento e in Campania e Puglia del 16 per cento. Invece di mantenere un finanziamento universalistico e migliorarlo con uno studio preciso dei livelli essenziali di assistenza e con la loro applicazione reale, col federalismo si è scelto insomma di porre il fardello del finanziamento e della gestione della sanità sulle regioni, rendere più macchinosa la perequazione ex post e “responsabilizzare” (si legga “bastonare”) le regioni che, anche a causa dell’epoca dell’austerità che avanzava per entrare nel “mercato unico” (dal 1993 il governo Italiano drena con le tasse molto più di quanto spende in servizi), non fossero riuscite a rispettare determinati vincoli.
Con la legge finanziaria per il 2005 (l. n. 311 del 2004), si sono infatti introdotti i “ piani di rientro”. Con tali provvedimenti le Regioni concordavano con lo Stato l’assunzione di particolari obblighi tesi al ripiano del disavanzo di bilancio in sanità, adottando gli strumenti operativi idonei allo scopo. Come forte deterrente si è previsto, inoltre, nel caso di mancato rispetto del piano (o di sua non presentazione), la “pena” dell’automatica applicazione delle aliquote massime per l’Irap e l’addizionale Irpef; a ciò si aggiungeva l’attivazione di procedure sanzionatorie statali, quali il commissariamento della Regione, con la nomina di un commissario ad acta, il blocco del turnover senza consenso ministeriale e l’obbligo di forzare la mano sui tagli, come capitato alla Calabria negli ultimi 12 anni. Solo nel 2019, con il così detto “decreto Calabria”, vi è stata l’abolizione del blocco automatico del turnover del personale per le regioni commissariate.
Ma non è tutto: come spiega Leonzio Rizzo dell’Università di Ferrara, il totale della compartecipazione IVA (la “perequazione”) è stato ogni anno diviso in due fondi, uno distribuito secondo i consumi finali (che ovviamente favorisce chi ha storicamente un sistema che offre più servizi) e l’altro secondo una formula di perequazione che tiene conto del fabbisogno e della differente dotazione di base imponibile Irap di ogni Regione. Era inizialmente previsto che per i primi due anni (2002 e 2003) fosse sottratta una quota del 5 per cento del primo fondo per sommarla al secondo; tale quota sarebbe stata del 9 per cento ogni anno a partire dal 2004 fino al totale azzeramento del primo fondo, previsto per l’anno 2013. Il fondo finanziato dalla compartecipazione IVA, da allocare secondo i consumi finali, è stato di fatto sempre distribuito in base alla spesa storica.
La contrattazione all’interno della conferenza Stato-Regioni, con l’accordo di Villa San Giovanni del 2005, ha reso la transizione della distribuzione del fondo dalla spesa storica al nuovo criterio molto più graduale di quella inizialmente prevista, con il risultato che, nel 2012, l’80 per cento della compartecipazione Iva era ancora distribuita in base al criterio della spesa storica.
Sintetizzando: maggiore austerità fiscale nazionale, maggiori pressioni e punizioni fiscali sulle regioni deboli e redistribuzione inadeguata. Il primo obiettivo del Partito sarà perciò quello di richiedere, come istituzione regionale, l’applicazione reale del principio di perequazione nel fondo sanitario, pretendendo con forza l’annullamento delle pratiche allocative sopra descritte.
1.2 – Lotta ai criteri iniqui di distribuzione dei fondi
Vediamo ora come è distribuita quella parte di fondo utilizzata per colmare i fabbisogni locali. Come rileva la Fondazione Farmafactoring, dal 2013 tale fabbisogno è determinato annualmente, per il triennio successivo, “in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica”. Detto in parole povere: è l’assistenza a dover essere in funzione delle politiche fiscali e non viceversa, come dovrebbe essere in un paese che per investire sul futuro mette al primo posto lo sviluppo del cittadino.
Per determinare i costi standard e il finanziamento da destinare alla singola regione si scelgono 3 regioni-campione, si vede la spesa usata per finanziare la loro sanità e si calcola in proporzione alla popolazione quanto occorre, a chi ha meno ricavi con le imposte, per rispettare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). O, almeno in teoria, dovrebbe essere così. Le regioni benchmark sono scelte tra le cinque, appositamente individuate con decreto, che hanno garantito i LEA in condizione di equilibrio economico e di efficienza ed appropriatezza. Già qui si potrebbe sostenere che sia discutibile appioppare il modello di spesa delle regioni più “moderne” a chi ha economie di scala peggiori, se l’obiettivo è raggiungere gli stessi fini. Vengono, ad ogni modo, confermati i macrolivelli di assistenza tra i quali dovrà distribuirsi la spesa sanitaria secondo le seguenti percentuali (al cui rispetto dovranno adeguarsi le singole regioni): 5% per l’assistenza sanitaria preventiva (ambiente di vita e di lavoro), 51% per l’assistenza distrettuale e 44% per quella ospedaliera. Per ognuno dei tre macrolivelli si calcola il costo standard come media pro capite pesata per età. Si noti che il criterio della popolazione pesata e per fascia d’età (più anziani uguale più fondi) è fuorviante poiché si dovrebbe calcolare, piuttosto, il tasso di morbilità (diffusione di malattie) di un’area. Se una regione ha meno anziani perché ci sono più malattie e meno cure e si muore prima, paradossalmente, la regione riceve meno fondi.
A oltre sei anni dall’approvazione del D.Lgs 68/2011, che aveva previsto queste regole che perlomeno darebbero un criterio per allocare i fondi secondo un certo fabbisogno, la prassi rimane comunque, come già accennato, quella di distribuire il fondo sanitario usando il criterio della spesa storica, eventualmente corretto con alcuni aggiustamenti marginali che vengono definiti, di anno in anno, in sede di Conferenza Stato-Regione. Sebbene possano essere tante le ragioni per cui a oggi, dopo oltre sei anni ancora non siano state implementate le nuove regole previste dal D.Lgs 68/2011, la principale rimane che l’applicazione di tale metodo potrebbe cambiare in modo sostanziale un equilibrio di status quo faticosamente raggiunto. In altre parole: il problema è sempre la necessità di anteporre “le regole di bilancio” alla salute dei cittadini e all’assunzione di nuovi medici, come se questo non influenzasse la crescita umana e quindi economica.
Infine, c’è un particolare di cui nessuno parla: l’esistenza degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e di come la loro presenza diseguale sul territorio renda il finanziamento sanitario iniquo. Sono ospedali di eccellenza che perseguono finalità di ricerca, «prevalentemente clinica e traslazionale», ciò conferisce loro il diritto alla fruizione di un finanziamento statale (che va ad aggiungersi a quello regionale) finalizzato allo svolgimento della attività di ricerca relativa alle materie riconosciute. Lo sono il Gemelli, il Regina Elena, il Gaslini. A questo (giusto) “vantaggio” finanziario fa però da contraltare lo svantaggio delle Aziende Sanitarie che, senza abbastanza fondi per garantire i LEA, vedono i loro pazienti emigrare.
Inoltre, gli IRCCS pubblici sono «enti pubblici a rilevanza nazionale sottoposti al controllo regionale e alla vigilanza del Ministero della salute. Al Ministro spetta la nomina del direttore scientifico degli IRCCS pubblici nell’ambito di una terna di candidati selezionata da una apposita commissione». Abbiamo, dunque, anche il privilegio (finora esclusivo) di non aver i propri vertici alla mercé di clientelismo politico regionale. Essendo enti di diritto pubblico, sono gestiti da Fondazioni e, come dice il prof. Ettore Jorio, «su essi (fortunatamente) non incide la “capacità imprenditoriale” delle aziende di salute di riferimento».
Al fatto che Lazio e Lombardia abbiano la stragrande maggioranza dei 51 IRCCS (pubblici o privati) consegue una mobilità passiva (4,9 miliardi nel 2017) che arricchisce le suddette regioni a discapito di quelle del Sud. La Lombardia ne conta ben 18, drenanti la fetta maggiore del fondo sanitario regionale meneghino, che attraggono una mobilità di 800 milioni annui. Segue il Lazio (300 milioni), l’Emilia-Romagna (350 mln) e la Liguria (60 mln). Un maggior introito che permette a tali regioni di godere di fatto di maggiori risorse in proporzione alla popolazione.
Per tutto questo, il Partito si propone di rivendicare i reali fabbisogni che la regione Calabria possiede al fine di costruire un sistema sanitario efficiente e universalistico. La soluzione prevista sarà quella di investire su un partenariato con le Università regionali per ricavare tabelle esatte dei tassi di morbilità calabresi e del costo reale che un certo livello di assistenza risulta avere all’interno di una regione in cui esistono strutture malfunzionanti e fatiscenti.
La Calabria – se ricevesse una somma proporzionata al suo fabbisogno reale – non sarebbe commissariata. Non solo: dovrebbe ricevere anche più fondi rispetto alla media nazionale. Infatti, secondo Health Search (2012) questi sono i malati che la Calabria ha in più rispetto al resto d’Italia (in percentuale della popolazione e secondo le malattie): +1,26 ulcera gastrica, +1,3 diabete mellito; + 0,64 ipertensione arteriosa; + 0,1% infarto del miocardio; + 2,55% artrosi; +0,24 malattie del cuore; +0,24 ictus cerebrale; +0,18 cirrosi epatica; +0,57 osteoporosi; +1,54 broncopneumopatia cronica ostruttiva; +1,22 funzionalità della tiroide. Invece, secondo il rapporto Osserva Salute 2017, la media Italiana di spesa sanitaria pro capite 2016 è di 1845 euro (già tra le più basse nei paesi OCSE) mentre quella Calabrese è di 1741 euro, più di 100 euro a testa in meno all’anno. Tutto ciò è tra le cause dei 301 milioni di euro di mobilità passiva del 2017.
A tutto ciò si aggiunge il problema del mancato aggiornamento dei nomenclatori tariffari sui nuovi servizi parte dei Livelli Essenziali di Assistenza. Il cavallo di battaglia dei nuovi LEA risulta visibilmente “azzoppato” perché i nomenclatori per la specialistica ambulatoriale e protesica sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale senza le corrispondenti tariffe. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di nomenclatori “orfani” di tariffe configura un paradosso normativo. Infatti, i pazienti affetti da malattie croniche non possono ad oggi fruire di numerose prestazioni di specialistica in regime di esenzione ticket: il nuovo elenco delle malattie croniche prevede infatti l’esenzione per numerose prestazioni specialistiche incluse nel nuovo nomenclatore, che tuttavia non sono al momento erogabili. Dopo oltre un anno dalla pubblicazione del DPCM sui nuovi LEA, gran parte delle nuove prestazioni non è ancora esigibile, perché la loro reale disponibilità è soggetta alla revisione delle tariffe non ancora approvate dal MEF e l’esigibilità di tali prestazioni è subordinato alla disponibilità delle singole Regioni di erogare le prestazioni in regime extra-LEA. Insomma, per tirare la cinghia (occorrerebbero circa 800 milioni aggiuntivi all’anno) si dilaziona nel tempo l’obbligo effettivo di fornire nuovi livelli essenziali di assistenza.
L’obiettivo del Partito sarà la raccolta sistematica e aggiornata dei dati sulla morbilità Calabrese con riferimento non solo al registro tumori (istituito a livello nazionale con la legge 29/2019) e allargata alla valutazione economica dei relativi fabbisogni utili a rispettare i LEA, operata con la così detta “funzione di spesa”. A tale scopo l’iniziativa non sarà accompagnata dall’obbligo dell’invarianza della spesa dell’amministrazione e potrà essere messa in atto (come prevede anche la 29/2019 riguardo al registro tumori) attraverso la collaborazione con centri di ricerca pubblici e con enti e associazioni scientifiche che da almeno dieci anni operino, senza fini di lucro, nell’ambito dell’accreditamento dei sistemi di rilevazione scientifica secondo standard nazionali e internazionali, della formazione degli operatori, della valutazione della qualità dei dati, della definizione dei criteri di realizzazione e di sviluppo di banche dati nazionali e dell’analisi e interpretazione dei dati, purché tali soggetti siano dotati di codici etici e di condotta che prevedano la risoluzione di ogni conflitto di interesse e improntino la loro attività alla massima trasparenza, anche attraverso la pubblicazione, nei rispettivi siti internet, degli statuti e degli atti costitutivi, della composizione degli organismi direttivi, dei bilanci, dei verbali e dei contributi e delle sovvenzioni a qualsiasi titolo ricevuti. Alla luce delle argomentazioni sopra descritte e del piano di efficientamento dei criteri di spesa sanitari, il Partito impugnerà l’illegittimità di ogni prolungamento della stagione commissariale della sanità regionale.

2 – Un sistema sanitario regionale ben finanziato e il criterio dell’erogazione dei LEA come termine per valutare l’efficienza delle figure dirigenziali
La sistematizzazione dei dati sul fabbisogno sanitario regionale è mirata alla messa in pratica di un piano di acquisto di strumenti e di assunzioni di figure mediche, dirigenziali e semi-dirigenziali che risponda a criteri di trasparenza e di vincoli di risultato. A tale scopo tuttavia occorre, da un lato, massimizzare le disposizioni legislative che vedono la scelta delle suddette figure in funzione di una graduatoria pubblicamente costituita e la continuità del loro rapporto di lavoro in funzione dei risultati ottenuti. Dall’altro, è necessaria l’istituzione di un sistema di retribuzione degli addetti al settore che riesca ad aggirare i vincoli di spesa pubblica irrazionali che mettono in ginocchio il funzionamento del sistema regionale.
2.1 – Graduatorie regionali trasparenti e un nuovo sistema di finanziamento della sanità
Condividendo la posizione di docenti universitari di diritto sanitario come Ettore Jorio, sarebbe un errore supporre l’estromissione tout court della politica regionale dalla nomina dei vertici sanitari, come sembra essere indirizzata la politica nazionale dopo l’approvazione del così detto “Decreto Calabria”. Occorrerebbe quantomeno fare in modo che la Regione debba attingere a graduatorie regionali prodotte ad esito di una valutazione di titoli operata con concorso pubblico, oppure attraverso la collaborazione con centri di ricerca pubblici e con enti e associazioni scientifiche che da almeno dieci anni operino, senza fini di lucro, nell’ambito dell’accreditamento dei sistemi di rilevazione scientifica secondo standard nazionali e internazionali poiché, in quanto tali, più garanti degli attuali elenchi che, per come costruiti a mente del d.lgs. 171/2016, sono da considerare una colossale presa in giro, dal momento che lasciano pressoché le cose così come stavano, a tutela di quel solito management che nel Paese domina da decenni, spesso creando danni irreparabili.
Il Partito, al fine di assicurare la corretta erogazione dei LEA e l’universalità del servizio sanitario si propone di opporsi al vincolo di spesa attuale per il quale la spesa per il personale degli Enti del SSN di ciascuna Regione non può superare il valore della spesa sostenuta nel 2018 – che potrà essere incrementata, al massimo, per un importo pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario nazionale. A tale scopo l’amministrazione del Partito intende sperimentare un sistema di pagamenti innovativo che metta in moto le assunzioni necessarie per lo svolgimento dei servizi sanitari e, allo stesso tempo, che stimoli la creazione di servizi regionali collaterali. Tale sistema avrà la forma di un accordo contrattuale fra le strutture sanitarie e i dipendenti del sistema attraverso il quale questi ultimi sono incentivati ad accettare parte delle loro retribuzioni sotto forma di certificati di dilazioni di pagamento le quali, cartolarizzate e distribuite in modalità elettronica attraverso un sistema di conti correnti digitalizzato, potranno essere adoperate secondo il loro valore nominale in euro per il parziale pagamento di nuovi servizi istituiti direttamente dalla Regione attraverso società in house, quali nuove linee di trasporto pubblico, nuovi enti di raccolta differenziata di rifiuti, distribuzione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte solare, programmi di riqualificazione edilizia e paesaggistica su beni pubblici e privati, programmi di assistenza sociale per anziani, servizio di approvvigionamento idrico integrato e, ovviamente, ticket sanitari.
La facoltà di utilizzare tali crediti sanitari per il pagamento di servizi pubblici rende stabile il valore degli stessi crediti, i quali potranno essere liberamente utilizzati per i pagamenti tra privati attraverso un sistema di permute di crediti commerciali supervisionato dalla Regione. Il Partito si propone di creare le condizioni culturali e le infrastrutture tecnologiche per il successo del progetto, con opere di istruzione e sensibilizzazione della cittadinanza e la diffusione di mezzi come app e carte di credito digitali accessibili a tutti. L’obiettivo è l’aumento della liquidità disponibile per il sistema sanitario regionale di almeno il 20% con una modalità rivoluzionaria che, invece di considerare le strutture sanitarie una palla al piede del bilancio regionale, le renda addirittura il volano di una ripresa degli scambi e dell’economia locale. Il modello descritto implica un circolo virtuoso ed un aumento del reddito reale (sotto forma di crediti sanitari spendibili come liquidità) degli attori economici calabresi grazie al quale gli stessi servizi offerti dalla Regione in cambio dei crediti possano essere finanziati in parte tramite il riutilizzo degli stessi crediti sanitari usati per il pagamento delle prestazioni da parte dell’amministrazione. La piena legittimità dell’esperimento è assicurata dal fatto che il diritto del lavoro ammette un accordo tra datore di lavoro e lavoratore sulle modalità di pagamento di quest’ultimo, purché si possa dimostrare che la clausola in questione non sia vessatoria e che vada a beneficio del lavoratore. Dal momento che è la Regione stessa ad assicurare la spendibilità degli strumenti in questione attraverso la possibilità di utilizzarli per pagare servizi fondamentali forniti dall’ente stesso, non risulterebbe esserci nocumento nei confronti del dipendente. Tra i vantaggi del nuovo sistema, oltre il potenziamento degli ospedali attivi e degli ambulatori, la riapertura dei presidi ospedalieri ormai chiusi, come quelli di Praia a Mare e Trebisacce, con un significativo incremento della capillarità sul territorio, e la riduzione dei ticket sanitari alle fasce di reddito più deboli.
2.2 – Sistema di licenziamento dei dirigenti negligenti
Una volta assicurate, attraverso l’impugnazione dell’attuale sistema di riparto dei fondi sanitari nazionali e attraverso il modello dei crediti sanitari, le risorse per la messa in pratica dei LEA nel sistema sanitario calabrese, l’obiettivo del Partito sarà stabilire dei parametri ferrei di efficienza per valutare la possibile estromissione di una figura apicale o non apicale che si dimostri responsabile del mancato raggiungimento dei LEA stessi nel proprio distretto sanitario.
Il non raggiungimento dei risultati previsti è d’altronde l’unico criterio ammesso dalla Corte Costituzionale per l’interruzione non prevista dell’incarico all’interno di un ente la cui governance fa capo ad un’amministrazione pubblica. La Corte ha infatti ritenuto che i meccanismi di decadenza automatica, nei quali debbono essere inclusi anche quelli che si manifestano nel senso della cessazione del rapporto in caso di mancata conferma entro un ridotto periodo temporale – mancata conferma decisa sulla base di una determinazione del tutto discrezionale, e come tale non sottoposta né sottoponibile a controllo giurisdizionale – «si pongono in contrasto con l’art. 97 Cost. – sotto il duplice profilo dell’imparzialità e del buon andamento – in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti». Conseguentemente, è stata più volte dichiarata l’illegittimità costituzionale di meccanismi di spoils system relativi ad incarichi dirigenziali comportanti l’esercizio di compiti di gestione (da ultimo, sentenze n. 124 del 2011, n. 224 e n. 34 del 2010, n. 104 del 2007).
Per questo motivo il Partito istituirà a livello di normativa regionale un sistema di valutazione al quale saranno sottoposte le figure dei direttori generali, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, nonché dei primari, secondo le quali una volta trascorsi un certo numero di mesi dall’insediamento sarà improrogabile la messa in pratica dei LEA al fine di non decadere dal proprio mandato dirigenziale e professionale e di non incorrere nell’esclusione, per un certo periodo di tempo, da qualsiasi graduatoria per nuove assunzioni.

3 – Un sistema sanitario integrato che tuteli i territori più disagiati e i propri dipendenti
Il Sistema Sanitario Nazionale, se vuole essere equo ed efficiente, deve urgentemente abbandonare l’aziendalismo (con aziende costrette a risparmiare sulle risorse e gestite da businessmen vicini alla politica locale) e trasformarsi in una Agenzia di Stato, con graduatorie e concorsi pubblici trasparenti e un bilancio che sia in funzione dei LEA – invece di essere i LEA in funzione del bilancio.
Un passo decisivo a livello regionale dovrebbe essere fatto attraverso la trasformazione della struttura aziendale delle cinque Asp Calabresi, le quali diverrebbero articolazioni di un’unica Agenzia Sanitaria Regionale che coordinerebbe i finanziamenti ai singoli distretti in proporzione del fabbisogno sanitario descritto in precedenza. In questo modo la Regione costituisce, insieme ai “fornitori”, un’unica struttura connessa e integrata all’interno della pubblica amministrazione, con i direttori e i referenti sanitari dei singoli distretti che agiscono in funzione dell’attuazione delle direttive prese da un consiglio centrale della struttura sanitaria. I fornitori del servizio sono finanziati al costo dei fattori impiegati e nessun distretto possiede un proprio vincolo di bilancio di natura aziendalistica. Il modello integrato prevede dunque un’unica “azienda” che è allo stesso tempo assicuratore/finanziatore e produttore di servizi. Andando fino in fondo al concetto di agenzia regionale condotta con criteri non societari, il Partito si propone anche di eliminare i doppioni delle realtà create in passato, riducendo le diverse tipologie di enti (le Aziende sanitarie provinciali, le aziende ospedaliere, i presidi ospedalieri) a delle articolazioni della stessa “azienda” regionale. I benefici di questa trasformazione sono la maggiore efficienza e velocità nei meccanismi di solidarismo fra distretti sanitari: distribuzione dei trasferimenti centralizzata ed effettuata in proporzione dei fabbisogni immediati; regia unica per l’utilizzo delle graduatorie delle figure professionali; centro unico regionale per le prenotazioni alle visite specialistiche in modo da allocare le risorse umane in funzione di quella che è la domanda effettiva in tempo reale degli utenti; maggior potere negoziale di fronte a realtà terze al fine di tutelare maggiormente la figura del medico pubblico.
In Calabria esistono paradossalmente delle Asp che, anche se sane a livello finanziario, non riescono a reperire alcune tipologie di specialisti sul mercato: il problema nasce ovviamente dai pochi posti nelle borse di specializzazione, ma potrebbe essere attenuato da una pianificazione regionale delle graduatorie in modo da minimizzare il tempo impiegato da una certa Asp per richiedere l’accesso a graduatorie di province differenti. Inoltre, molti specialisti in circolazione non scelgono l’azienda pubblica perché risulta meno conveniente (paghe più basse) e più rischiosa (attrezzature vecchie e più rischio di essere denunciati per errori, anche a seguito della legge Gelli che nel 2017 ha potenziato la responsabilità penale dei medici, il che è un grosso problema perché l’Italia è uno dei pochissimi paesi al mondo che prevede un profilo penale nella colpa medica, e questo causa una iper richiesta di esami a scopo difensivo). Una Regione che agisce come ente unico di tutela nei confronti del personale potrebbe stipulare una convenzione assicurativa ulteriore a copertura dei rischi maggiori. Questo, insieme ai maggiori investimenti in attrezzature e tecnologia sopra accennati, dovrebbe incentivare il professionista a scegliere il servizio pubblico.

4 – Lotta contro il sistema disfunzionale dell’intramoenia
L’intramoenia o attività libero professionale intramuraria consiste nell’erogazione da parte del medico e di altri sanitari di prestazioni pagamento all’interno della struttura pubblica. E’ un istituto creato appositamente per disciplinare il rapporto di lavoro di medici con il SSN. La prima regolamentazione si ha con la riforma sanitaria approvata con il Dlgs 502/1992. Si voleva definire una volta per tutte un confine tra attività pubblica e privata del medico. Si stabilì che il medico dipendente pubblico (prevalentemente ospedaliero) dovesse optare tra rapporto esclusivo e non esclusivo. Nel primo caso avrebbe potuto espletare attività libero professionale solo all’interno della struttura (intramoenia), con modalità e tempi particolari, nel secondo caso avrebbe potuto espletare attività libero professionale all’esterno con un proprio studio e perfino con la partita IVA (extramoenia). Il medico che opta per il rapporto esclusivo ha diritto ad una indennità di esclusiva che è parte consistente della retribuzione.
Tutto apparentemente semplice, se non fosse che niente è andato come previsto. Innanzitutto, sebbene la stragrande maggioranza avesse optato per il rapporto esclusivo, nessuno di quelli che possedevano lo studio privato si riteneva pronto a liberarsene e i medici chiesero del tempo per adeguarsi alla norma; poi le aziende, soprattutto al sud, non erano in condizione di garantire gli appositi spazi e l’implementazione di tutte le condizioni per la gestione dell’intramoenia (spazi separati, prenotazione separata, contabilità separata ecc..), cosi si arrivò ad un compromesso concedendo qualche anno di tempo ai medici per disfarsi dello studio privato e alle aziende, per predisporre tutte le misure organizzative necessarie. Questo ha significato che i medici mantenevano lo studio privato e prendevano anche l’indennità di esclusiva. Avevano realizzato l’irrealizzabile: la moglie ubriaca e la botte piena. La chiamarono intramoenia allargata e alla scadenza del termine stabilito per la sua fine la prorogarono una prima volta, e poi ancora. Ogni anno con il milleproroghe si è continuato cosi fino al 2013: a quella data le aziende hanno dovuto adeguarsi.
Si può immaginare quanti problemi, anche di natura giudiziaria, comportasse una simile situazione. In Calabria era la regola e solo nel 2008 l’azienda Sanitaria di Catanzaro prese in mano la situazione, spinta soprattutto dal moltiplicarsi di indagini dalla GDF e dei NAS. Le aziende calabresi non erano in grado di garantire una corretta gestione dell’attività istituzionale, a maggior ragione di quella intramuraria. La legge infatti richiede che le aziende non solo forniscano appositi spazi (ed è già un problema) ma che, in nome della separazione delle attività, garantiscano servizi e procedure separate. Ad esempio, devono essere quantificati i costi di ogni singolo ambulatorio perché su quella base viene poi stabilità con il medico la tariffa , una cui parte andrà a remunerarli.
Le tariffe sono concordate con il medico e il modo in cui viene ripartita (ad esempio una parte può andare al personale infermieristico che collabora) è stabilito nei regolamenti aziendali, a loro volta frutto di negoziazione con i sindacati medici.
A prescindere dalla degenerazione dell’intramoenia allargata, è l’istituto cosi come concepito dall’inizio ad essere, innanzitutto, irrealizzabile correttamente, almeno al sud, e poi in contraddizione con gli scopi per i quali era stato creato. Una delle giustificazioni iniziali dell’intramoenia era che avrebbe contribuito ad alleggerire le liste di attesa. Ben presto si vide che era proprio il contrario: dove si espletava intramoenia le liste di attesa si allungavano. La ragione di ciò può essere localizzata nell’incentivo, che hanno i medici che operano da privati nell’ospedale pubblico, a dilazionare e rallentare la qualità delle visite sotto vesti pubbliche al fine di sfruttare il ricorso alla prestazione privata da parte del paziente. Sono stati documentati casi di Questo delle liste di attesa è solo uno degli effetti , il più eclatante e negativo, dell’intramoenia. Bisogna pensare che una parte della struttura pubblica e delle sue risorse viene convogliata nel privato e anche se in teoria i costi sono remunerati dall’attività stessa, nella pratica questo significa che devono essere applicate tariffe molto elevate.
Un’amministrazione regionale a guida del Partito si farà portatrice di una proposta di legge sull’abolizione graduale dell’intramoenia da presentare ai presidenti di regione e ai parlamentari. Alla luce del contrappeso degli incentivi economici e assicurativi sopra esposti per avvicinare il professionista alla scelta della professione pubblica, inoltre, il Partito si propone di disincentivare il più possibile la scelta dell’attività privata all’interno del pubblico, negoziando come agenzia unica regionale per la sanità in maniera maggiorata la quota trattenuta dall’azienda per il rimborso dei costi sostenuti e minimizzando, quindi, il ricavo del medico in intramoenia. Sull’intramoenia è stata prodotta troppa normativa, e questo ha finito con il creare una situazione di confusione ovunque. Per superare questa situazione occorre ritornare al punto di partenza: stabilire i confini tra attività pubblica e privata del medico senza commistione, eliminare l’intramoenia e consentire a chi vuole espletare attività privata la sola extramoenia.

5 – Lotta allo spreco della sanità privata convenzionata
Più di 7 italiani su 10, secondo l’agenzia Adn Kronos, ogni anno pagano di tasca propria almeno una prestazione sanitaria con una spesa sanitaria privata complessiva che sfiora i 40 miliardi di euro. Il fenomeno, in costante espansione (+9,9% tra il 2013 e il 2018), riguarda due italiani su tre (quasi 44 milioni di persone), con un esborso medio di circa 655 euro per cittadino. Il sempre maggior utilizzo della sanità privata in risposta del calo delle prestazioni del pubblico rappresenta uno dei maggiori motivi di iniquità del nostro sistema sociale e questo perché, sebbene nel breve termine sembrerebbe conveniente affidare dei servizi al privato convenzionato, una visione organica e non miope del problema rivela una logica basata sullo spreco e sull’inefficienza – o, persino, sul favoreggiamento della corruzione.
Un giudizio opaco che non è ovviamente limitato alle regioni meridionali: secondo inchieste giornalistiche al Sant’Agostino di Milano, che non lavora con il servizio sanitario, una risonanza magnetica muscoloscheletrica (ginocchio, spalla, mano, anca, piede) costa al cittadino 90 euro. Il rimborso che la Lombardia garantisce ai suoi centri privati convenzionati è, però, 169,97 euro. L’89% in più. Una discrepanza che caratterizza tutte le regioni italiane. In Calabria secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2016 la spesa sanitaria pro capite diretta alle convenzioni con i private è stata 265 euro, il 15,1% del totale (1749 euro pro capite). Alle radici di queste differenze di costo sta il fatto che affidare un servizio al privato costa meno in una prospettiva immediata, sottraendosi all’obbligo di affrontare un investimento costoso per mettere in piedi una certa struttura, ma si rivela una perdita nel medio e lungo termine per diversi motivi: assenza di ricavi che vanno invece al privato, crescita del potere negoziale del privato in convenzione che si ritrova in una posizione di forza in cui riesce ad avere condizioni vantaggiose per erogare un servizio essenziale del SSN, perdita di capacità di attuare economia di scala da parte del pubblico. I motivi della scelta dell’affidamento alla convenzione col privato sono da ricercarsi quindi, da un lato, soprattutto nella necessità di lesinare il più possibile sul bilancio regionale in una prospettiva annuale, che non può considerare il lungo periodo. Dall’altro, nell’inevitabile conflitto di interessi che c’è fra molti dirigenti regionali ed erogatori di servizi sanitari privati, per cui il fenomeno e lo spreco di risorse pubbliche che c’è dietro si configura come un vero e proprio esempio di clientelismo.
Nell’Asp di Cosenza, ad esempio, sono attualmente oltre 40 gli operatori che prestano la propria attività in favore nell’ambito dei servizi di supporto amministrativo alle attività sanitarie territoriali ed ospedaliere, dei servizi igienico-sanitari e di trasporto sanitario e dei servizi di manutenzione ordinaria delle strutture dell’azienda sanitaria provinciale. Nonostante i servizi vengano affidati all’esterno “per conseguire maggiori risparmi”, anche qui sembrerebbe avvenire il contrario, peraltro con grave pregiudizio anche per le maestranze. Come anche fonti del consiglio regionale affermano, il prezzo dell’appalto, comprensivo di iva, ammonta a più di 1.300.000 euro. Al contrario, se i lavoratori fossero stabilizzati alle medesime condizioni contrattuali, si spenderebbero solo 960.000 euro.
Per
tutto questo, il Partito intende rovesciare da capo a piedi questa pratica e la
sua discutibile logica. L’Agenzia Sanitaria Regionale che gestirà il sistema
sanitario calabrese con l’amministrazione del partito reinternalizzerà
gradualmente tutti i servizi posti in mano ai privati, con un investimento che
sarà finanziato nel medio termine con i risparmi dalle spese necessarie per
mantenere il regime di convenzione, oltre che attraverso
l’alleggerimento della pressione sul bilancio apportata dalle misure
finanziarie illustrate nei capitoli precedenti. Inoltre, i requisiti minimi
strutturali, tecnologici e organizzativi per l’accreditamento per cui una
struttura privata può operare in nome e per conto del SSN saranno studiati e
revisionati.
6 – Trasparenza liste d’attesa, tecnologia e potenziamento assistenza territoriale
Il Partito proporrà degli accorgimenti tecnici ed organizzativi che andranno ad aggiungersi al potenziamento dell’organico accennato nei precedenti capitoli, al fine di velocizzare le liste d’attesa, aumentare la prevenzione e il comfort degli utenti della sanità regionale. Innanzitutto, ogni avanzamento di carriera delle figure dirigenziali sarà collegato al raggiungimento di obiettivi prefissati nell’erogazione delle prestazioni. Il conflitto di interessi che porta molti medici a sfavorire le liste d’attesa pubbliche a vantaggio di quelle private va risolto poi, oltre che col disincentivo finanziario verso l’intramoenia, con la regola per cui se le liste d’attesa pubbliche non rispettano in un determinato distretto la velocità stabilità dalla legge regionale, scatta la sospensione dell’attività privata.
Si dovrà puntare, poi, alla creazione di un sistema operativo digitale corredato da un’app comodamente scaricabile dalla quale poter prenotare visite, pagare i ticket e visionare tutti i dati circa l’efficienza dei diversi distretti regionali, oltre l’avanzamento delle liste d’attesa. La necessità di tutela della privacy sarà rispettata attraverso un metodo di visualizzazione per cui il singolo utente non potrà accedere al nominativo degli altri soggetti in lista ma solo ad alcune caratteristiche identificative generiche, e potrà supervisionare il percorso della propria prenotazione rispetto agli altri pazienti, dei quali non conoscerà tuttavia la precisa identità.
L’amministrazione del Partito si occuperà di promuovere, anche attraverso convenzioni con gli istituti scolastici, un’educazione sanitaria volta alla prevenzione e allo scopo di aiutare la popolazione ad acquisire la salute attraverso il proprio comportamento ed i propri sforzi, valorizzando la partecipazione dei cittadini e la circolazione delle informazioni anche coinvolgendo le maggiori associazioni nazionali e regionali di tutela degli assistiti-consumatori.
Sarà inoltre necessario aprire Ambulatori Infermieristici sulle Fragilità (secondo il Piano Nazionale delle Cronicità del 2016 che auspica la reale presa in carico territoriale dei pazienti con Diabete, Ipertensione, Ictus, Scompenso Cardiaco e BPCO) che dovranno essere realizzati in ogni distretto sanitario e che dovranno offrire servizi al cittadino nell’intero arco della giornata. Sulla stessa linea, sarà utile sviluppare a livello territoriale su scala regionale nuovi modelli di Percorsi Diagnostici Terapeutico Assistenziali i quali sono, in pratica, strumenti che permettono all’azienda sanitaria di delineare, rispetto ad una patologia o un problema clinico, il miglior percorso praticabile all’interno della propria organizzazione. E’ tipico di una persona che ha un problema di salute che per la gestione delle sue problematiche diventino necessari interventi multi professionali e multidisciplinari concernenti diversi ambiti come quello psico-fisico, sociale e delle eventuali disabilità. Un sistema simile è presente in Regione Abruzzo riguardo il Diabete, e sarebbe opportuno che sia a copertura delle patologie croniche più diffuse come lo Scompenso Cardiaco, o la BPCO. Tali strutture saranno collegate in rete fra loro e con l’ospedale per acuti mediante la telemedicina, la tele-salute, la tele-assistenza ed il tele-monitoraggio sfruttando, migliorando e potenziando gli strumenti informatici attualmente a disposizione. Lo scopo è quello di regolamentare il flusso pazienti per intensità di cura e ricovero, ma anche e in maniera prioritaria per le prestazioni minime, ambulatoriali e di ricovero in day hospital che costituiscono il principale aggravio in termini di tempo.