DOBBIAMO PRETENDERE IL GIUSTO. SENZA COMPROMESSI.
L’Anci Calabria e il comune di Cinquefrondi (e, speriamo, tutti gli altri in seguito) hanno inaugurato la lotta politica e GIURIDICA per l’incostituzionalità dei trasferimenti che non tengono conto dei LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI (LEP) che devono essere forniti dai Comuni, come PREVISTO ESPLICITAMENTE DALLA COSTITUZIONE (art. 117). Qui il comunicato dell’Anci Calabria ai comuni della regione.
Questo tema è il non-detto dei testi sul federalismo fiscale (di cui ora si riparla con il termine “regionalismo differenziato”) da sempre. Ricordiamolo: il federalismo avrebbe dovuto migliorare i criteri della spesa storica e dei trasferimenti statali in nome del calcolo dei fabbisogni REALI di regioni e comuni i quali, oltre l’autonomia fiscale, avrebbero dovuto usufruire di un fondo perequativo adeguato per realizzare i Livelli Essenziali delle Prestazioni (ancora mai calcolati). Successivamente ai calcoli, per non rendere evidente la scoperta che le affermazioni dei nordisti verso un supposto assistenzialismo storico verso il sud fossero solo calunnie, e che il federalismo comandato dalla nuova Costituzione del 2001 avrebbe favorito il solidarismo verso il Sud (visto i suoi REALI fabbisogni in confronto alla capacità fiscale), nel 2009-2011 si decise
1 – Di calcolare coefficienti dei fabbisogni standard ricuciti sui servizi GIA’ in essere. I parametri per tale calcolo arrivano all’assurdo, ad esempio, di considerare NULLO il fabbisogno di asili nido di un paese che non possiede asili nido, per il solo fatto di non averceli (qua uno schema dei criteri http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/ctfs/documenti/Nota_metodologica_aggiornamento_fabbisogni_standard_comuni_approvata_dal….pdf). Ad esempio, ancora, il fabbisogno in termini di viabilità ha tra i criteri il numero attuale di veicoli circolanti e le presenze turistiche, come se questi fattori non fossero essi stessi influenzati negativamente dalle già pessime condizioni del territorio. Il fabbisogno scolastico è messo in funzione del numero di edifici, utenti della mensa, utenti trasportati da altri centri e quota delle classi a tempo prolungato già presenti. Inoltre, come spiega il comunicato dei consiglieri del comune di Foggia Marcello Sciagura e Vincenzo Rizzi (che hanno già presentato una mozione in tal senso http://www.letteremeridiane.org/2019/02/federalismo-fiscale-foggia-perde-8-milioni-e-mezzo-a-vantaggio-del-nord/ ) sono stati introdotti, nel meccanismo di calcolo dei fabbisogni sociali, delle variabili chiamate tecnicamente dummy (fantoccio), tese a ridurre il calcolo del fabbisogno delle Regioni che offrono meno servizi. Questo è il dettaglio più razzista di tutta la storia.
2 – Nell’applicazione del “federalismo” si decise, poi, di riservare il 55% del fondo di solidarietà pagato dai comuni tramite le entrate IMU e finalizzato alla perequazione dei suddetti fabbisogni, alla spesa STORICA, ovviamente più larga al nord. Qui la tabella del riparto di Tropea https://finanzalocale.interno.gov.it/apps/floc.php/fondo_solidarieta/index/codice_catastale/L452/cod/33/md/0/anno_fsc/33. Quel restante 45% realmente perequativo, ripartito in base al rapporto tra capacità fiscale e il suddetto fabbisogno standard, si è ulteriormente dimezzato essendo riservato per il 50%, ancora, ad un’allocazione secondo la spesa storica! Qui i complessi calcoli del riparto locale del Fondo di Solidarietà Comunale https://www.fondazioneifel.it/88-aliquote/111-perequazione-perequazione-vademecum e un dettaglio sul calcolo dei fabbisogni standard tramite i coefficienti https://www.opencivitas.it/sites/default/files/Calcolo_del_fabbisogno_standard_complessivo_221116.pdf.
Qui dove trovare i fabbisogni monetari di ogni comune https://www.opencivitas.it/cerca-comuni
In Calabria, l’ANCI regionale e il comune di Cinquefrondi si sono già mossi, la prima soprattutto sul piano politico e il secondo preparando un Ricorso Straordinario al Presidente della Repubblica.
Dobbiamo imporre con tutta la nostra forza la discussione sui LEP. Pensateci: secondo l’OECD c’è un dato osceno, scandaloso. Più di un secolo. Circa 125 anni, 5 generazioni. È il tempo che serve in Italia a chi nasce nel 10% più povero della popolazione per raggiungere un tenore di vita corrispondente al salario medio. Sempre che ci riesca, ovviamente.
Uno scandalo, un’offesa spregevole alla razionalità. Dobbiamo pretendere che non solo siano calcolati i LEP per poi calcolare i relativi fabbisogni, ma che essi siano interpretati non come “essenziali” alla sopravvivenza, ma essenziali alla MASSIMIZZAZIONE DELLE POTENZIALITA’ del capitale umano di un territorio. Non è in questione se ORA non c’è domanda. Intanto si creano dei licei con un’offerta super, si perfeziona la qualità dei trasporti, si dà assistenza alle madri per fare figli e lavorare, e così via.
Allora anche a Nardodipace tra 15 o 20 anni avrai creato 10 professionisti in Bioingegneria e più potere d’acquisto locale per i relativi servizi così da avere una comunità che non ha bisogno di trasferirsi a Milano o di trattenersi dal fare figli.
Il ritardo da parte di chi nasce in ambienti svantaggiati è ovviamente influenzato dal fatto che in Calabria, Campania, Basilicata, eccetera NON ci sono le prestazioni essenziali per far avere ad un bambino nato da una famiglia povera le STESSE opportunità di un bambino nato in una ricca famiglia milanese. Asili nido, sanità perfetta, mobilità, università gratuite, scuole efficienti, assistenza. Il giornalista Marco Esposito, nella sua inchiesta fondamentale Zero al Sud, cita spesso Marattin, il renziano già presidente della Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard, il quale considerava tali fabbisogni «pari agli importi necessari all’ente comunale per garantire i servizi STORICI». Se non hai asili nido, significa che non c’è domanda e non ne hai bisogno.

L’abitudine, come si dice, del “sazio che non può comprendere chi digiuna” è oggi messa spregevolmente in pratica, con una sorta di sindrome di Stoccolma, proprio da chi dovrebbe avere più empatia verso chi è meno fortunato non sempre per demeriti propri ma per EREDITA’ STORICA.
Marco Esposito riporta come il direttore generale della Banca d’Italia Salvatore Rossi, meridionale, pubblicò in pompa magna un articolo sul sito dell’istituzione in cui si scagliava contro l’ “assistenzialismo” elargito “da sempre” al Sud, «dovuto a un meccanismo semplice: le entrate tributarie sono correlate al reddito dei contribuenti, che è strutturalmente più basso al Sud, mentre la spesa pubblica è uniforme in tutto il paese, perchè essa intende fornire a tutti i cittadini lo stesso livello di servizio pubblico in tutti gli ambiti (istruzione, sanità, giustizia, ecc)».
SOLO CHE, come mostra Esposito, l’affermazione era CLAMOROSAMENTE FALSA. In base ai dati dei conti pubblici territoriali disponibili all’epoca – rapporto 2017, con valori 2015 – la spesa pubblica complessiva pro-capite in Italia era di 15.801 Euro al Centronord e di 12.222 nel Mezzogiorno. Tremilacinquecento Euro a testa (!!) non è una differenza di pochi spiccioli. Nel Mezzogiorno lo Stato spendeva il 28,8% delle risorse a fronte di una popolazione pari al 34,4%.
Come giustificare moralmente il fatto che generazioni meno fortunate per essere nate – senza colpa – in un territorio con meno servizi e infrastrutture, invece di ricevere PIU’ risorse per avere le stesse potenzialità ne ricevevano MENO, così da non giungere mai ad un punto di partenza equo nella formazione e delle possibilità di investimento?
La giustificazione è di solito che “il Sud spreca le risorse”. Bene, allora che si stabiliscano come da Costituzione i Livelli Essenziali delle Prestazioni e, una volta dati i fondi per attuarli, si commissarino le amministrazioni che NON li attuano.
Perchè i fan del federalismo si rifiutano di farlo? Semplice: uscirebbe fuori che il VERO fabbisogno del Meridione richiederebbe una spesa molto maggiore del 34,4% di risorse al Sud.
Le disuguaglianze territoriali in Italia non sono (solo) frutto del malgoverno locale ma di scelte VIOLENTE politiche dei governi. Ancora Marco Esposito ci illustra il perchè, con un aneddoto che mostra come anche i fondi straordinari per le strutture siano stati allocati in maniera irrazionale.
Nel 2017 il governo Gentiloni mise sul tavolo dei fondi per costruire asili nido e scuole materne “dove non ci fossero”. Secondo un’analisi del ricercatore Marco Marucci, seguendo il criterio di dare soldi in proporzione della quantità di bambini esclusi dal servizio, i primi 209 milioni (2017) sarebbero dovuti andare a Lombardia (34 mln), Campania (25,5 mln), Sicilia (21,2 mln) e Lazio (20,4 mln).
il MIUR, però, seguì questi altri, scandalosi criteri: la popolazione da 0 a 6 anni (e fino a qua è normale), l’assenza di scuole statali (che privilegiava spudoratamente il Nord, dove prevaleva il servizio misto, ma dove comunque il servizio c’era in maniera equivalente), la percentuale di iscritti da 0 a 3 anni (più una regione aveva bambini GIA’ iscritti in percentuale, più soldi riceveva: FOLLE, ingiusto, illogico).
Con questi parametri, la Campania riceveva 11,7 mln, poi passati almeno a 13,8 ai tavoli con i Comuni, la Sicilia 10,7 mln, la Valle d’Aosta ben 8,5 mln (invece degli 0,5 del più razionale calcolo di Marucci) e di molto aumentarono anche le altre del Nord, soprattutto Toscana ed Emilia Romagna. Ai tavoli, per le Regioni, c’era Cristina Grieco (PD) e, per i comuni, Cristina Giachi (PD) la quale, tra l’altro, introdusse il parametro delle scuole statali. La somma pro-capite per bambino in Emilia Romagna era così 90 euro, contro i 43 della Campania.
Il Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ebbe il coraggio di scrivere «grazie all’accordo si sta garantendo alle bambine e ai bambini pari opportunità di educazione superando le disuguaglianze». La Grieco, in una intervista al Mattino, difese i criteri dicendo che si stavano «premiando le esperienze migliori».
La logica fu semplicemente la discriminazione territoriale.
Nell’autunno 2018, governo Conte, il suddetto fondo della Buona Scuola passò da 209 a 224 mln, si decise con buon senso di allocare tutti i 15 mln aggiuntivi alle regioni meridionali. Ci mancherebbe altro, pure.
Ultimo esempio riguarda i fondi per le strade provinciali.
In Italia ci sono 130.000 Km di strade provinciali e la loro manutenzione lascia molto a desiderare. Colpa dei tagli alle Province (1 miliardo nel 2015, 2 nel 2016 e 3 nel 2017). Pensate: per manutenere i 26.000 km di strade Statali gestite dall’Anas ci sono 2,2 miliardi l’anno mentre per i 130.000 km provinciali appena 700 milioni (!!). E non avete ancora letto i CRITERI tramite cui questi pochi spiccioli sono allocati, come spiega Marco Esposito.
Essi sono: lunghezza delle strade, presenza di aree montane, traffico. Il primo indicatore è chiaro. Il secondo lascia un po’ a desiderare perchè si sono utilizzate tabelle Istat dei tempi del fascismo relative alle “valutazioni climatiche”. Sul terzo parametro, il traffico, la fantasia ha toccato l’apice: non tratta la conta del numero di autoveicoli circolanti, bensì quella dei lavoratori del settore PRIVATO. Ovviamente prevalenti nelle regioni settentrionali. Un insegnante, un infermiere, un carabiniere uno studente che utilizza l’auto non consuma l’asfalto.
Le strade gestite dalla Città Metropolitana di Milano sono 717 km, tutte in pianura, nella provincia di Napoli 800, “climaticamente” in pianura nonostante il Vesuvio e il Faito. A Milano (dati Aci 2015) circolano 2.303.215 autoveicoli e a Napoli 2.245.639; ma i veicoli non contano, si misurano gli occupati privati di Milano (858.592) e Napoli (559.874). Tirate le somme, con la metodologia valida per il 2018, Milano pesa 2,64% e Napoli 1,88%. Quindi a Milano viene riconosciuto un fabbisogno del 40% superiore nonostante i km di strade e gli autoveicoli siano più o meno gli stessi di Napoli.
La lotta per i Livelli Essenziali delle Prestazioni è una questione di sviluppo macroeconomico, di giustizia sociale e morale che dovrebbe interessare non solo i meridionali ma tutti gli Italiani onesti.