LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING, L’OPPIO DEI POPOLI

LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING, L’OPPIO DEI POPOLI

Il grande programma di acquisto di titoli di Stato della Bce inaugurato nel Marzo 2015 sta dunque avviandosi al termine. La banca centrale europea ha detto stop! Basta acquisto di titoli aggiuntivi rispetto a quelli già in suo possesso, anche se continuerà a rinnovare quelli che arrivano a scadenza. Il QE ha finora portato la Bce ad acquistare con denaro creato ex novo titoli di Stato dei paesi euro con durata da 1 a 30 anni sul mercato secondario per un valore di oltre 2mila miliardi di euro. Per l’Italia gli acquisti hanno raggiunto i 345 miliardi di euro.

Ma qual è stato il significato di questa operazione che, come ha avvertito Draghi, potrebbe sempre ripartire in caso di necessità? Si è trattato di un regalo mascherato alle grosse Banche, come qualcuno insinua? O di un colossale sussidio ai governi Europei che hanno potuto godere di finanziamenti a tassi d’interesse irrisori per anni?

La Banca d’Inghilterra si era subito preoccupata, con un report del 2014, a mettere a tacere la prima insinuazione. Lo schema del Qe funziona infatti nel seguente modo: poniamo che un fondo pensione detenga un Btp e che la Bce decida di acquistarlo. Siccome il fondo pensione non possiede un conto alla Banca Centrale, la sua banca commerciale è usata come intermediario. La banca commerciale accredita il conto del fondo con, ad esempio, un deposito di un miliardo di Euro in cambio del titolo di Stato. La Banca Centrale Europea, a sua volta, acquista il bond accreditando di un miliardo il conto che la banca commerciale detiene presso di essa. Il risultato è quindi che il fondo pensione ha un miliardo di Euro liquidi depositati in banca con pochissima rendita al posto di un Titolo di Stato con rendita più alta e la banca commerciale a sua volta detiene questo deposito sotto forma di riserve improduttive alla Bce. Lo scopo del Qe è infatti che la banca commerciale, e il fondo pensione tramite essa, utilizzi questa nuova liquidità per fare investimenti a più alto rendimento.

Dunque nessun denaro gratis alle banche, ma al massimo liquidità fresca utile per rinforzare il proprio capitale o fare nuovi investimenti.

D’altra parte si stima che il Qe, insieme alle altre operazioni di finanziamento facilitato della BCE alle banche abbia garantito ai governi Italiani più di 50 miliardi di Euro in risparmi sugli interessi finora! E’ dunque vero che si è trattato solo di un sussidio agli Stati?

Beh, questa interpretazione regge soltanto se c’è una completa assenza di prospettiva storica.

Per le istituzioni finanziarie odierne il denaro è una merce scarsa. Sì, può essere infinitamente creato dalla BC, ma per le banche commerciali ha un costo e quindi per loro è economicamente scarso. Il denaro è una merce che deve circolare in maniera totalmente libera e gli istituti di credito devono poter scegliere qualsiasi strumento proveniente da qualsiasi istituto o nazione per avere più profitti possibili da depositi, prestiti della bce e utili, e averli nel più breve tempo possibile, allo scopo di attirare più risparmiatori e investitori possibili e, anche, allo scopo di ripagare in tempo la liquidità presa in prestito dalla banca centrale stessa. La BC non può intervenire sulla decisione dei creditori privati. L’unica cosa che può fare, quindi, è aumentare la quantità e diminuire il costo di questa merce e sperare che i privati usino questa maggiore disponibilità facendo “la scelta giusta”, ovvero finanziando investimenti in ricerca, sviluppo e le imprese.

E’ riuscita nel suo intento? Lasciamo parlare i dati. Un report pubblicato dalla Deutch Bank nel Settembre 2017 intitolato Long-Term Asset Return Study, ha fatto un prospetto storico del prezzo aggregato di azioni e obbligazioni nei mercati di 15 paesi sviluppati, concludendo che non solo l’abbassamento dei tassi d’interesse non ha influito sulla rendita degli investitori finanziari, ma che siamo persino nel momento in cui i prezzi degli asset hanno raggiunto il loro massimo storico, raggiungendo l’apice di un trend iniziato negli anni ‘80!

Banche commerciali e fondi d’investimento, insomma, hanno usato la pioggia di liquidità per continuare a fare compravendita compulsiva di obbligazioni e azioni dopo lo stop dovuto alla crisi del 2008, facendone schizzare alle stelle il valore, come nelle classiche bolle finanziare. E i prestiti alle società non finanziarie, ovvero gli impieghi diretti verso imprese della così detta “economia reale”, come sono andati? .La Confartigianato ha rilevato che nel 2017 in Italia sono stati del 42,9% del Pil, in costante calo dal 2011 quando raggiunsero il 54,7 e decisamente valore più basso negli ultimi 10 anni.

La situazione pare essere quella più logica di un sistema per il quale il denaro funziona, appunto, soltanto come una merce scarsa scambiata tra privati che non possono sapere le reciproche intenzioni e condizioni. In caso di recessione o stagnazione il credito e gli investimenti si accumulano in maniera ipertrofica su valori che possono essere più facilmente trasferiti in caso di cattivi presentimenti e che, per questo, ci si aspetta che altri li acquistino a loro volta da noi. Con il meccanismo delle classiche aspettative auto-realizzantesi, bond e azioni esplodono nel loro valore indifferentemente dai fondamentali delle compagnie. Gli investimenti in piccole e medie imprese, invece, continuano a latitare non essendo possibile, per un istituto di credito, supporre se e quando un aumento dei consumi avverrà.

Perlomeno però, si dirà, il Qe ha permesso ai contribuenti di risparmiare quei 50 miliardi e più di pagamento di interessi sul debito! Beh, è bene sapere che è stato stimato che negli anni dal 1945 al 1970 l’Italia era riuscita a realizzare in media un RISPARMIO sui costi del debito pubblico del 5.3% del Pil all’anno rispetto a quelli che sarebbero stati i così detti prezzi di mercato. Questo perché per il 41% di quegli anni gli interessi sul debito furono negativi, e non certo utilizzando un meccanismo inefficiente come il Qe. Come ci era riuscita? Trattando il denaro non solo come merce, ma anche come un mezzo da disciplinare democraticamente nella sua circolazione ed utilizzo, usando una logica di coordinamento pubblico delle azioni degli investitori privati isolati, allocando il credito negli ambienti che lo Stato riteneva più utili per favorire uno sviluppo nel lungo periodo. Gli strumenti utilizzati non solo dall’Italia ma da diversi paesi Occidentali furono svariati:

  1. a) Espliciti o indiretti limiti al tasso d’interesse – tramite regolamenti nazionali, tassi fissi sui titoli di Stato non commerciabili, tassi decisi dalla Banca Centrale prestatrice di ultima istanza del Tesoro.
  2. b) Creazione di una schiera di capitali domestici “intrappolati” e “costretti” a rivolgersi ai titoli di Stato – circolazione di capitali controllata tramite autorizzazioni ai movimenti, obbligo di possedere per le banche una quota di riserve in investimenti nei bond, tasse sulle transazioni finanziarie per scopi diversi dal finanziamento del debito pubblico.
  3. c) In alcuni casi, come Cina, India, Giappone e Italia, possesso diretto o controllo diretto da parte del governo del sistema bancario.

Fu il trionfo del così detto Stato imprenditore nell’economia mista, che rendeva il debito pubblico non un costo ma un guadagno per il Paese e dirigeva per legge il credito bancario ai settori dell’imprenditoria privata non finanziari. Lo Stato imprenditore che, anche grazie alla spesa pubblica per gli investimenti in infrastrutture e nei settori industriali fondamentali della galassia dell’IRI era riuscito a rendere l’Italia quarta potenza industriale del pianeta e ad evitare qualsiasi fenomeno significativo di stagnazione o recessione prolungate, persino in momenti critici come quello della crisi petrolifera degli anni ’70. Dall’altra parte l’Italia, dal momento in cui decise di non controllare più i tassi d’interesse tramite l’acquisto obbligatorio di titoli da parte della propria Banca Centrale a febbraio/marzo 1981, ha pagato in soli interessi sul debito pubblico circa 3000 miliardi di euro attualizzati. Ovvero l’ammontare di 2 anni di Pil nazionale. Messe in prospettiva dunque le cose sanno un po’ meno di sussidio e un po’ più di elemosina elargita da un’ideologia che domina oggi ogni istituzione economica.

Quali sono le conclusioni di tutto ciò? Sappiamo bene che i programmi così detti anticonvenzionali della BCE sono stati messi su per salvare gli Stati europei periferici dal collasso finanziario dovuto alla sfiducia sulla sostenibilità del loro debito. Sappiamo che un altro obiettivo era stimolare le esportazioni Europee attraverso la svalutazione della moneta unica sui mercati. Ma tutto questo non avrebbe avuto alcuna necessità di esistere se i popoli Europei avessero potuto giovarsi di un sistema finanziario nazionale capace di sostenere senza costi alti e senza vincoli stringenti di bilancio tipici dei Trattati Europei gli investimenti anticiclici necessari, come nell’epoca del secondo dopoguerra. Non sarebbe stato necessario tutto questo, se i governi avessero potuto giovarsi di valute flessibili, controlli sui capitali e regolamentazioni sull’acquisto di strumenti finanziari, così da rimuovere il pericolo di bolle azionarie e di credito privato – tipiche dei primi anni dell’Euro nel Sud Europa, prima di scoppiare all’avvento della crisi.

Sappiamo tutto questo, perciò possiamo dire che il Qe è stato l’OPPIO DEI POPOLI Europei resi definitivamente inconsapevoli dell’iniquità in cui li si stava facendo vivere grazie alla carità dei tassi bassi per qualche anno.

L’idea stessa di BCE dal 2011 è coincisa con l’allungamento del brodo a favore di chi trae la maggior parte della ricchezza dal mercato finanziario UNICO: ha sacrificato qualche rendimento sui titoli per far sì che non crollasse la cuccagna della libertà assoluta dal rischio di cambio valutario nel gran Casinò degli strumenti finanziari. Li ha sacrificati per far sì che fosse sopito il rischio di inflazione SERIA dovuto a una maggiore spesa pubblica, rischi che sono tali – si noti – solo per i grossi investitori finanziari, soprattutto nel caso i governi iniziassero a usare il denaro per aumentare investimenti pubblici e stipendi. Il Qe ha tolto alle piazze borsistiche le castagne dal fuoco, lasciando al 95% delle popolazioni una tranquillità apparente a CONDIZIONI dure e inique.

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